Nel caso di crisi coniugale e di separazione della coppia i figli minorenni possono essere strumentalizzati e l’elevata conflittualità esistente tra i genitori può pregiudicare la loro salute psico - fisica. Per questa ragione occorre applicare il regime di affidamento idoneo a garantire il loro coretto sviluppo e tutelare l’interesse superiore del minore.
L’affidamento dei figli minorenni in caso di separazione dei coniugi: la tutela dell’interesse superiore del minore
La riforma del 2006: introduzione dell’affidamento condiviso.
Prima della riforma del 2006, era previsto come regola generale, l’affidamento esclusivo della prole a uno dei genitori: al genitore non affidatario spettava il diritto di visitare i figli e di contribuire a prendere le decisioni particolarmente importanti, potendo dunque esercitare in modo non pieno la propria potestà genitoriale.
Con la legge n. 54 del 2006 è stato sancito il principio della bi-genitorialità che consiste nel diritto dei figli di continuare a mantenere con entrambi i genitori rapporti equilibrati anche dopo la cessazione della convivenza.
L’istituto dell’affidamento condiviso prevede che il minore sia affidato ad entrambi i coniugi, in modo tale che essi esercitino congiuntamente la potestà genitoriale, condividendo e partecipando di comune accordo alle scelte educative.
L’affido condiviso è oggi la forma principale di affidamento dei figli, cui si affianca l’affidamento congiunto, già previsto nella precedente normativa, che richiede sempre la completa cooperazione tra i genitori.
L'art. 337-ter del codice civile, infatti, stabilisce che il Giudice deve valutare "prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori", in modo da realizzare al meglio il diritto della prole a "mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi".
Il presupposto per tale forma di affidamento è l’assenza di “conflittualità insanabili” tra i genitori, ovvero il permanere di un’ “armonia” tra gli stessi.
Il principio su cui si fonda è che, anche in caso di separazione, i figli hanno diritto di conservare un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore, di ricevere da entrambi cura, educazione e istruzione e di conservare rapporti con gli ascendenti (es: i nonni) e i parenti.
Il giudice, quando dispone l’affidamento condiviso, provvede anche sulla residenza dei figli: generalmente è precisato presso quale dei genitori la prole deve vivere abitualmente.
Il provvedimento del giudice deve determinare i tempi e i modi della presenza dei figli presso ciascun genitore (non si parla più, in questo caso, di diritto di visita, come avveniva nel caso di affidamento esclusivo).
L’istituto dell’affidamento condiviso introdotto con la legge del 2006 prevede l’esercizio effettivo della responsabilità genitoriale da parte di entrambi i coniugi, i quali dunque hanno il diritto/dovere di partecipare attivamente, in misura uguale, alla cura e educazione dei figli, cercando di prendere insieme, di comune accordo le decisioni di maggiore interesse per i figli.
Nel caso in cui vi sia un disaccordo sulle questioni di maggiore interesse, le parti dovranno rivolgersi al giudice. Per le questioni di ordinaria amministrazione, invece, il giudice può anche disporre che i genitori possano prendere decisioni separatamente.
Ovviamente, la regola dell’affidamento condiviso può subire deroghe e il giudice può sempre disporre l’affidamento esclusivo del minore ad uno solo dei genitori nel superiore interesse del minore “qualora ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore". La salvaguardia del benessere della prole rappresenta, dunque, il limite superiore che legittima il giudice ad ammettere soluzioni diverse: secondo l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza, l’adozione di un provvedimento di affidamento esclusivo e non condiviso sarebbe da preferire laddove risulti, nei confronti di uno dei genitori, "una condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa o comunque tale appunto da rendere quell'affidamento in concreto pregiudizievole per il minore".
Criticità della legge del 2006: i problemi relativi all'attuazione pratica del principio della bigenitorialità.
Nonostante il fatto che la Legge del 2006 sia diretta a consentire una effettiva e reale applicazione del principio della bigenitorialità, capita che le modalità concrete di affidamento attuate dai Tribunali non consentano di darne effettiva applicazione; accade, ad esempio, in alcuni casi, che i figli vengano affidati solo formalmente ad entrambi i genitori, ma collocati poi dalla madre; ciò può determinare una eccessiva compressione del diritto del minore di frequentare il padre, costruendo con lo stesso un solido rapporto affettivo.
Ulteriori profili aspetti che meriterebbero una correzione riguardano la disciplina del mantenimento e quella concernente l’assegnazione della casa familiare al genitore collocatario, giacché spesso si applica una sorta di automatismo che prescinde dalla specificità del caso concreto.
In considerazione di tali profili di criticità della legge 54/2006 , è stato presentato il DL PILLON, che avrebbe dovuto correggere i problemi determinati da una non sempre puntuale e corretta applicazione della Legge del 2006. Tale disegno di Legge però invece di migliorare la Legge sull'affidamento condiviso pone ulteriori e ancora più gravi problemi e appare censurabile per diverse ragioni; per l’analisi del DL Pillon si rimanda alla lettura dell’articolo ” Affido condiviso nel DDL Pillon”.
Sarebbe auspicabile dunque un’operazione di corretta reinterpretazione e applicazione della legge 54/2006, alla luce ad esempio degli orientamenti di tribunali come Brindisi e Salerno.